Ricordare è un atto creativo (Linda Seger)
Vi siete mai domandati, veramente, quali sono le immagini che vi portate dentro senza saperlo, le immagini che si sono depositate in quello strano magazzino che è la memoria? Non parlo delle immagini che abbiamo studiato o scelto come modelli di riferimento (saranno oggetto di un altro articolo ed esercizio). Quelle cui mi riferisco sono immagini, come dire?, “pre-fotografiche”, che hanno impressionato chissà quando e perché, la camera oscura della nostra mente, della nostra esperienza. E un bel giorno, a nostra insaputa, sono ricomparse nei nostri scatti, come i fiumi carsici che scorrono sotterranei e ignorati per chilometri e poi affiorano alla superficie. Cerco di chiarire l’idea con un esempio prelevato da Il mestiere di fotografo del fotografo iraniano Reza.
Da bambino passavo ore con mio fratello a far circolare le nostre automobili giocattolo lungo gli arabeschi dei tappeti persiani di casa. Forme e colori intessuti con sapienza da mani esperte di Tabric o di Kashan hanno costituito il nostro primo universo visivo. Più degli altri colori, il rosso era la costante di quelle opere divenute terreno di gioco.
Per Reza, dunque, il primo universo visivo è formato dagli intrecci delle linee dei tappeti sui quali giocava e, soprattutto, dal colore rosso. Un universo visivo rosso, che il fotografo del National Geoghaphic, ha poi riconosciuto in molte delle fotografie scattate negli anni: che simboleggi il sangue, la violenza, le ferite oppure l’amore, la passione, il calore, la vita, questo colore, complice dei miei giochi d’infanzia, si mescola col mondo che vedo e catturo attraverso e mie inquadrature.
L’esercizio che propongo per il training del fotografo è tutto qui: prendersi un po’ di tempo per immergersi nella memoria, frugare tra i ricordi per rinvenire qualche frammento del nostro primo universo visivo che possa illuminare, di luce nuova e più intima, le nostre fotografie. Oppure, possiamo capovolgere l’esercizio e partire dalle inquadrature di oggi e risalire nella memoria, usando gli scatti come piccole chiavi di accesso alle nostre impressioni sepolte.
Come al solito ho sperimentato su di me questo esercizio. I risultati li ho raccolti nell’articolo Perché amo certe foto pubblicato nell’altro mio blog
(http://compagniadeifotografi.blogspot.com/2012/01/perche-amo-certe-foto.html)
e al quale rinvio per non appesantire la lettura del post di oggi.
Se anche per voi ricordare è un atto creativo, quali sono i vostri universi visivi sepolti?